Il Covid19 aumenterà la disoccupazione?

L’emergenza sanitaria del Covid19 ha implicato una battuta d’arresto per diversi settori produttivi che ne hanno fortemente risentito economicamente, mettendo a rischio molti posti di lavoro.

Eppure pare non sia colpa solo del virus e della pandemia.

Secondo uno studio del McKinsey Global Institute, il processo di disoccupazione è già in atto da diverso tempo a causa del progresso tecnologico che porterà sempre più professioni ad essere automatizzate (si stima che solo in Europa ci siano 24 milioni di posti di lavoro a rischio, ovvero il 10% del totale).

Il Covid19 quindi, sommato all’automazione delle nuove tecnologie che andranno a sostituire la forza lavoro umana, produrrebbe una forte accelerata della disoccupazione.

I settori per i quali si stima una maggior perdita di posti di lavoro, sono quelli che hanno sofferto di più per le misure intraprese per far fronte all’emergenza sanitaria, come il commercio all’ingrosso o al dettaglio, la manifattura, il turismo e la ristorazione.

Tuttavia, se da una parte assisteremo alla perdita di posti di lavoro e alla scomparsa di determinate professioni (sostituite dall’automazione tecnologica), da qui al 2030 vedremo anche la crescita di nuove professionalità, legate al mondo tecnologico ma anche a quello sanitario, legale e del business in generale.


La soluzione? Riqualificare i posti di lavoro

Come far fronte quindi al problema della disoccupazione e non perdere posti di lavoro?

In primo luogo la flessibilità e la capacità di rimettersi in gioco, avranno un ruolo fondamentale. 

Per riqualificare le professioni a rischio, i lavoratori interessati dovranno infatti essere disponibili ad aggiornarsi e ad accettare cambiamenti radicali nelle loro mansioni, con una percentuale sempre più alta di tecnologia nella loro quotidianità.

In secondo luogo, la grande diffusione dello smart working in seguito all’emergenza coronavirus, ha aperto nuovi scenari per determinate professionalità, prima quasi impensabili: 

partendo dal presupposto che le aziende continueranno ad utilizzare il lavoro agile, molti lavoratori potranno candidarsi per posizioni in linea con il loro profilo professionale, anche se geograficamente distanti dalla sede aziendale. Una vera e propria rivoluzione della concezione del lavoro, che fino ad oggi vedeva come elemento imprescindibile la presenza fisica del lavoratore in azienda, mentre nell’epoca post covid probabilmente non sarà più così fondamentale.

Secondo lo studio di McKinsey, si stima che saranno oltre 90 milioni i lavoratori che nei prossimi anni dovranno sviluppare nuove competenze e ben 21 milioni le persone che dovranno lasciare occupazioni in declino.

Pertanto l’effetto dell’automazione dei posti di lavoro (resa ancora più forte dall’emergenza covid19) avrà come conseguenza il cambio di lavoro e l’aggiornamento delle competenze. Da questo punto di vista, i lavoratori più qualificati e con un più alto titolo di studio, sono ovviamente meno a rischio di quelli con un profilo più basso.

I cittadini europei che lavorano in un Paese diverso dal proprio sono raddoppiati fra il 2003 e il 2018, passando da 8 a 16 milioni.

Anche nei prossimi anni continuerà quindi il trend di crescita delle capitali europee professionalmente più attraenti e più innovative tecnologicamente (tra cui Parigi, Londra, Milano, Roma, Amsterdam, Copenaghen, Madrid, Monaco).


L’emergenza sanitaria del coronavirus ha avuto un impatto molto forte su tutti noi, ha investito come un tornado le nostre vite e ne ha alterato la quotidianità in ogni suo aspetto, sfera lavorativa compresa.

Ed è proprio quando accadono eventi di una portata tale, capaci di scuotere profondamente la realtà, che si verifica il cambiamento, l’avanzare verso una fase successiva e non ci sono dubbi sul fatto che resilienza e flessibilità saranno qualità chiave per far fronte alle prossime sfide del futuro.

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